All’inizio degli anni ’90 la pubblicità non conosceva strumenti digitali, veicolava le immagini di un brand in modo molto lineare, ma al tempo stesso dirompente. L’azienda italiana Benetton scelse Oliviero Toscani, fotografo abituato alle provocazioni, come responsabile della comunicazione aziendale, per sovvertire lo stile comunicativo precedentemente conosciuto.
L’obiettivo dell’azienda era quello di ribaltare gli stereotipi, dare una nuova interpretazione alla differenza, fondendo e integrando opposizioni e proibizioni, per combattere la diversità sotto un’unica bandiera dei colori uniti di Benetton (United Colors of Benetton).
Nel 1991 Toscani presentò una pubblicità che fece parlare e scuotere le coscienze, creando grande scandalo: un prete e una suora si baciavano sfiorandosi le labbra. In Italia l’immagine venne censurata per le pressioni del Vaticano, in Francia per le sollecitazioni di molte associazioni religiose. Per il fotografo si trattava di un amore sbocciato normalmente tra un uomo e una donna, che oltrepassava, nonostante le privazioni imposte dalla Chiesa, le barriere di status e divisa. Nell’immagine non vi era nessun riferimento al prodotto, solo una corrispondenza cromatica e simbolica al contrasto, al colore puro ed essenziale, tipico del brand.
Oliviero Toscani tra arte e provocazione
La carriera artistica di Oliviero Toscani è stata caratterizzata da scatti capaci di suscitare polemiche e provocare censure, la sua forza creativa ha cambiato radicalmente l’immagine commerciale e numerose tecniche di comunicazione, segnando la storia della pubblicità italiana e contribuendo notevolmente a diffondere il marchio Benetton nel mondo.
Gli scatti avevano obiettivi precisi di mercato, ma la ricerca e la sperimentazione andava oltre la pubblicità, che veicolava idee e metteva in luce problematiche sociali come il razzismo, il sesso, l’Aids, l’ecologia, i diritti umani e l’uguaglianza. Un confine sottile tra arte e provocazione, messaggi politici e semplice comunicazione.
Toscani ha sempre cercato di abbattere le barriere e i confini tra i popoli impegnandosi a riportare una rappresentazione oggettiva del mondo, integrando gli opposti per appianare le differenze e combattere i pregiudizi. Le campagne pubblicitarie hanno fatto costantemente discutere tutti. Celebri le sue coppie in forte contrasto, basate sul principio di uguaglianza tra bianchi e neri, tra religioni in eterno conflitto, tra pregiudizi sul bene e il male.
La nascita di una bambina ritratta con il cordone ombelicale ancora da recidere, è stata una delle immagini più censurate della pubblicità, nonostante la rappresentazione di un gesto naturale e vitale come quello del parto. Questo scatto doveva essere un omaggio alla vita, ma divenne per l’Istituto di Autodisciplina in Italia una foto che “non tiene conto della sensibilità del pubblico”: scandalo, proteste, censura. Anche in altri Paesi furono espresse analoghe critiche e divieti di affissione, poi la fotografia, nel tempo fu rivalutata, con riconoscimenti, mostre ed esposizioni (in Italia, ad esempio, il Policlinico Sant’Orsola di Bologna fece richiesta di esporre la foto in sala travaglio).
Questi scatti, distribuiti sul mercato internazionale, passavano anche attraverso il filtro della cultura e della sensibilità dei vari paesi. La celebre foto dei tre bambini dal colore della pelle diversa ma accomunati dallo stesso colore della lingua, segno di uguaglianza, provocò la censura nei paesi arabi, che giudicarono la fotografia “pornografica” in quanto mostrava un organo interno, assolutamente proibito.
Il ciclo della realtà
Negli anni Novanta le campagne iniziarono ad esplorare temi di attualità, inaugurando il “ciclo della realtà”. Il rifiuto degli orrori della guerra venne mostrato con l’immagine simbolica di un cimitero dalle croci allineate e tutte uguali, come ad esprimere la sconfitta umana al di là delle divise, delle razze e delle religioni. I giornali italiani rifiutarono di pubblicare la fotografia (ad eccezione de Il Sole 24 Ore), ma la realtà, i conflitti e la morte entrarono con forza nel mondo edulcorato della pubblicità per colpire quella sensibilità del pubblico tenuto volutamente lontano dai problemi.
Anche l’immagine degli indumenti insanguinati del soldato Marinko Gagro, ucciso durante il conflitto in ex-Jugoslavia, mostrava con evidente crudeltà ciò che rimane della guerra. Una foto singolare e controversa (soprattutto se pensata per un noto marchio di abbigliamento), nella quale i vestiti risultavano sporchi, senza forma, erano la rappresentazione di una presenza che nessuno poteva vedere, ma tragicamente percepiva. Un importante messaggio di pace, così forte e significante da essere, ancora oggi, sconvolgente.
Nel 1992 la drammaticità del reale toccò il tema della malattia e della sofferenza, mostrando il giovane malato di Aids, David Kirby, morente in una stanza di ospedale, circondato dai familiari. La terribile malattia che aveva consumato il ragazzo, ritratto come un Cristo morto, aveva un tono crudo e scioccante da meritare l’attenzione del mondo. Ancora una volta i giornali rifiutarono la pubblicazione, ma le discussioni, le polemiche e le accuse di cinismo, servirono a mettere in luce e denunciare la pericolosità dell’Aids e proseguire la lotta contro questa malattia.
A seguire le campagne pubblicitarie affrontarono, con sempre rinnovata intuizione artistica, temi sociali di rilevanza mondiale, come la guerra, il razzismo, il neocolonialismo, l’immigrazione, i disastri ambientali.
We On Death Row
Fino all’ultimo progetto incentrato sulla pena di morte, che portò alla fine della collaborazione tra Oliviero Toscani e Benetton. Il fotografo ritrasse alcuni detenuti condannati a morte negli Stati Uniti, per far conoscere l’umanità di queste figure e il drammatico percorso di annullamento dei diritti umani. Le foto, tutte in primo piano, non esprimevano un giudizio, ogni sguardo in macchina dei condannati, sembrava parlare direttamente alla sensibilità del singolo individuo che le osservava.
La campagna “We On Death Row” (Noi nel braccio della morte), apparse in affissione e nelle testate giornalistiche di tutti i continenti, mostrando una realtà, ancora una volta, spietata, contestabile, ma aperta al dialogo, capace di contrastare l’indifferenza e sensibilizzare il pubblico a problemi universali. Le critiche arrivarono soprattutto dagli Stati Uniti: lo Stato del Missouri accusò Toscani di falso fraudolento per aver ritratto con l’inganno dei condannati a morte, senza specificare lo scopo per cui venivano fotografati, cioè quello di realizzare una campagna pubblicitaria. Una catena di grandi magazzini statunitensi boicottò il marchio Benetton, e il dibattito si accese proprio sull’uso commerciale e ingiustificato di un affare ritenuto interno alla nazione.
Benetton decise di scusarsi e donare 50 mila dollari al Fondo per il risarcimento delle vittime del crimine dello stato del Missouri, e Toscani, non approvando questa decisione, ribadì la sua posizione contro la pena di morte, accusando l’azienda italiana di aver fatto prevalere gli interessi economici. Chiuderanno così la loro collaborazione durata circa 18 anni, lasciando un segno indelebile nel panorama della comunicazione e della fotografia.
Censura, innovazione e realtà, un insieme di provocazioni utili ad abbattere barriere mentali e fisiche. Tutto sicuramente discutibile, ma senza ombra di dubbio, potente, intenso ed efficace.
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