#LiberArtiCLAN | Parliamo di Censura
La censura, nell’arte e nella cultura, ci dice molto sulle società che l’hanno imposta, perché ci parla delle loro fobie.
E la paura, lo vediamo oggi più che mai, è l’inchiostro con cui si scrive la storia.
Ogni settimana vi raccontiamo una storia di censura, perché non dobbiamo dimenticare che le nostre libertà – in primis quella di espressione – sono tutt’altro che scontate.
Pensando al mondo dell’arte e alla censura c’è il nome di un fotografo che più di ogni altro, a distanza di oltre trenta anni dalla sua morte, continua a sconcertare il mondo in un tempo oramai assuefatto dalla provocazione e invaso dall’onnipresenza del nudo. Stiamo parlando di Robert Mapplethorpe, artista nato nel quartiere del Queens a New York da una famiglia cattolica di origini irlandesi nel 1946 (di lui abbiamo parlato anche nella FotoCosa del giorno, qui e qui).
L’estetica che scandalizza il mondo
Nel corso della sua carriera, stroncata dall’Aids nel 1989, Mapplethorpe ha scandalizzato il mondo benpensante con immagini cariche di sessualità libere, fatte di pelle, borchie, frustini e pratiche sadomaso. Il suo stile, che nel tempo si sposta verso un’estetica più raffinata – ma non meno scandalosa! – richiama quel concetto di centralità universale dell’uomo per costruire una pornografia rinascimentale.
Si pensi alla serie Thomas del 1986, dove il fotografo cerca la perfezione della forma attraverso il vigore plastico delle membra, la tensione dei muscoli, la postura dei corpi che attualizza la statuaria classica, riportando alla mente la bellezza eterna dei nudi di Michelangelo Buonarroti, la visione prospettica di Piero della Francesca, la sinuosità di Rodin. E ancora, con la curiosità che lo contraddistingue, approda negli anni 80 ad affrontare il tema del diverso, del maschio vs. femmina, con la serie dedicata alla celebre culturista Lisa Lyon: il corpo muscoloso della donna americana viene fotografato nel 1982 coperto da un velo da sposa aprendo la strada alla nuova, problematica riflessione sull’umano.
Censura post mortem per Mapplethorpe
Ciò che più colpisce, oggi, non è certo la presa di coscienza della difficoltà di accettare la nudità nel panorama sociale di oltre un trentennio fa. Se pensiamo invece alla grande retrospettiva dedicata a Mapplethorpe al Fotografiska Museum di Stoccolma, nel 2011, c’è da rimanere basiti. Durante la campagna promozionale dell’evento, l’istituzione museale ha ben pensato di pubblicare su Facebook una serie di opere del fotografo con il risultato di una pronta censura!
E ancora, in Portogallo, il museo d’arte contemporanea della Fondazione Serralves decide di rimuovere una ventina di scatti dai 179 previsti per la mostra Robert Mapplethorpe: Pictures inaugurata nel settembre del 2018. Il direttore artistico João Ribas, contestatore attivo delle scelte prese dalla Fondazione – indignato riguardo la censura al pubblico e il divieto d’ingresso agli under 18 – si è dimesso in appena otto mesi dichiarando: “Viviamo in tempi di profonda incertezza politica […] e minacce alle libertà artistica e accademia. La Serralves Foundation ha perso l’occasione di sostenere quei valori che dovrebbero sostenerla come casa della cultura, del pensiero e della libertà, e ha invece scelto di soccombere al puritanesimo morale e al conservatorismo sociale”.
Oltre a condividere la posizione di Ribas, espressione di un coraggio che mi auguro possa accrescere nel tempo, mi rivolgo ai puritani che guardano ancora al mondo dell’arte, forse, con disattenzione: avete mai osservato il Giardino delle delizie di Bosch, al Museo del Prado di Madrid? Bene, se volgete lo sguardo in una porzione del dipinto, un signore nudo è ritratto mentre accoglie un mazzo di fiori messo nel suo orifizio da un altro personaggio. Che dite, lo censuriamo?
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