La Manchester Art Gallery ha deciso, all’inizio del 2018, di rimuovere temporaneamente la celebre opera di John William Waterhouse Ila e le Ninfe, per unirsi alla campagna femminista #MeToo, nata a seguito del caso Weinstein. Un horror vacui che ha fatto indignare parecchi visitatori riusciti, scatenando le polemiche, a far durare l’iniziativa non più di una settimana. Per molte donne, addirittura, è stata vista come una degenerazione del concetto di femminismo.
L’idea di MAG
Nell’importante Manchester Art Gallery, per decisione della direttrice Clare Gannaway, il dipinto ottocentesco del pittore John William Waterhouse è stato rimosso per una settimana dalla sala che lo ospitava per, citando il comunicato stampa, “stimolare la discussione sul modo in cui vengono mostrate e interpretate le opere nella collezione pubblica di Manchester”. Nella parete vuota i visitatori potevano così lasciare traccia dei loro pensieri apponendo dei semplici post-it e sul sito web del museo era stato aperto uno spazio per i commenti che si sono rivelati perlopiù contrari alla decisione presa dalla Direttrice. Il risultato? Su Twitter, all’hashtag #MAGSoniaBoyce, c’è chi si è indignato: «Avete appena comunicato a milioni di donne che devono vergognarsi del proprio corpo. Burqa per tutti», scrive @Saffron—Blaze. Peter Sharp ha perfino scomodato Frank Zappa: «Il politicamente corretto è solo un’altra forma di fascismo».
«Non è censura»
La Gannaway si è difesa dichiarando che l’obiettivo della rimozione era provocare un dibattito e non certo promuovere la censura ma ha specificato poi, tradendosi, che il soggetto ritratto poteva essere percepito come offensivo. Secondo la curatrice infatti l’opera è frutto di quella mentalità maschilista che fa del corpo della donna una forma d’arte decorativa e passiva o, al contrario, una figura erotica, demoniaca e portatrice di peccato. Cara Gannaway, mi rivolgo a Lei, stiamo veramente discutendo sulla mercificazione del corpo femminile attraverso un’opera del 1896? Per carità, è lecito perseguire ogni comportamento considerato lesivo della dignità della donna, ma è corretto applicare le categorie di giudizio contemporanee a un dipinto eseguito più di cent’anni fa?
Il mito
In quest’opera, per altro di straordinaria bellezza, mi pare evidente che la figura femminile assuma una chiara, forte e determinante identità e a dircelo è il poeta romano Valerio Flacco che, nelle sue Argonautiche, racconta il momento ritratto dal pittore. Ila, uno dei membri della spedizione degli Argonauti, nonché scudiero ed amante di Eracle, fu rapito dalle Naiadi, le ninfe delle acque correnti, durante una sosta a Misia, per il rifornimento idrico. Le splendide fanciulle s’invaghirono immediatamente dell’eroe greco e lo trascinano, affamate, nelle profondità della loro fonte. Nonostante Ercole accorra alla grida disperate di Ila, il giovane non avrà scampo.
Censuriamo ancora oggi – in un mondo che non lascia spazio all’immaginazione – visioni edulcorate ed idealizzate che dimentichiamo di contestualizzare nell’epoca in cui nascono. Le sette splendide ninfe di Waterhouse non sono ammiccanti e non trasportano con sé la carica erotica delle seduttrici; la storia del mito poi mi pare chiara quindi o la Gannaway è omofoba o l’operazione di marketing – perché di questo stiamo parlando, vero? – è mal riuscita.
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