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Oggi, oltre ad essere la Giornata mondiale dell’aiuto umanitario, in Afghanistan si celebra il giorno dell’indipendenza, in ricordo del 19 agosto 1919 quando il paese uscì ufficialmente dal dominio del Regno Unito.
Ma soprattutto negli ultimi decenni questo paese è legato nell’immaginario collettivo ad una parola: guerra.
Andiamolo a scoprire attraverso gli occhi e le parole della fotogiornalista Paula Bronstein, che da quasi 40 anni fotografa zone di guerra in tutto il mondo, e che dal 2001 ha iniziato il suo lavoro in Afghanistan.
Storie che vogliono essere raccontate
Mahboba, 7 anni, ha il viso cosparso di punti disegnati dal viola dello iodio, mentre attende una visita medica per la sua Leishmaniosi, un’infezione batterica parassitaria trasmessa da minuscole pulci della sabbia. “Questo è come si presentavano i muri a Kabul la prima volta che sono arrivata.” dice la Bronstein “Erano tutti crivellati di proiettili. Non alcuni, tutti lo erano.“
La familiarità con il territorio della Bronstein, i suoi numerosi embedding all’interno dei team MedEvac (ambulanza aerea) e la determinazione nell’inseguire le vite più intime e private delle donne e delle famiglie afghane, è confluita nel 2016 nelle oltre 200 pagine di fotografie crude e oneste del suo libro “Afghanistan. Between Hope and Fear“.
“Il problema dell’Afghanistan è che, nei molti anni in cui l’ho trattato, molte storie semplicemente non sono scomparse. Per lo più sono peggiorate“, dice la Bronstein. “Forse hanno solo bisogno di essere raccontate più e più volte.“
Lavorare per Getty Images (di cui abbiamo parlato qui) ha dato alla Bronstein l’opportunità di tornare in Afghanistan più volte senza le preoccupazioni finanziarie e logistiche che un freelance potrebbe incontrare, ma i suoi viaggi non sono stati privi di sfide e limitazioni.
Le donne, ad esempio, sono ancora considerate inferiori e di proprietà del capo maschio della casa, il che significa che l’accesso era spesso problematico. “Devo ottenere il permesso dal maschio per entrare in casa. Le donne vogliono e apprezzano un’altra donna che racconti la loro storia, ma non prendono le decisioni“.
Ma una visita non è sufficiente per raggiungere la profondità che le sue fotografie cercano. Normalmente inizia sedendosi e bevendo il tè con le donne e i loro mariti per poi fare un ritratto casuale.
La speranza è sempre quella di tornare il giorno dopo, ma il più delle volte l’uomo non lo permette.
Per la Bronstein, gli embedding con MedEvac sono i più proficui. Vola con gli equipaggi sull’elicottero che trasporta morti e feriti dal fronte, documentando il loro lavoro e il viaggio degli sfortunati passeggeri.
Oltre a documentare la violenza e le vittime della guerra, le fotografie raccontano anche la storia della vita quotidiana di povertà e carestia.
Dalla partenza delle truppe britanniche e statunitensi nel 2014, la disoccupazione è aumentata, molte delle ONG si sono ritirate e numerosi sistemi di assistenza sono scomparsi. Questo ha causato nuove problematiche tra cui l’aumento della dipendenza da eroina e oppiacei, anche tra bambini.
Bronstein spiega che l’oppio è anche usato come antidolorifico, spesso per mancanza di istruzione e della carenza poche strutture mediche nelle vicinanze.
Non scordiamoci che l’Afghanistan è uno dei maggiori produttori mondiali di stupefacenti di classe A, il cui mercato alimenta quello delle armi e le organizzazioni terroristiche.
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