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Una vita estrema
La vita di Pierre Molinier, iniziata il 13 aprile del 1900, è degna di un romanzo di Oscar Wilde: un artista che sfida tutte le norme sociali per vivere nell’eccesso edonistico. Omosessuale e travestito, lui stesso si affibbia il titolo di “lesbienne” in un’epoca in cui entrambi erano malvisti, e nella sua vita perseguirà il feticismo e l’erotismo latente del subconscio nella misura più estrema.
Nato in Francia nel 1900, inizia a fotografare a 18 anni, nello stesso anno in cui muore sua sorella. Lui, rimasto da solo con il corpo per fotografarlo, raccontò che “anche da morta era bellissima. Ho spruzzato di sperma il suo stomaco e le gambe, e sull’abito da prima comunione che indossava. Si è portata nella morte ciò che di me è più prezioso”.
La sua indagine su feticismo e depravazione, sia attraverso la pittura che la fotografia, culmina in una vasta serie di ritratti e autoritratti in cui lo stesso Molinier presenta spesso una donna dai molti arti, una dominatrice o un diavolo.
Molinier inizia la sua carriera come imbianchino fin quando si trasferisce a Bordeaux, la città che segna l’inizio della sua scoperta di sé. Lì inizia a scavare nella cultura underground della Francia degli anni ’20, si unisce alla società segreta della “Fratellanza” e inizia a esprimere il suo fervido interesse per le arti, iniziando a mostrare il suo lato erotico, sperimentale e magico con le sue opere.
Nel 1955 Molinier inizia una corrispondenza con André Breton, il fondatore del Surrealismo, che lo soprannomina “il mago dell’arte erotica” e decide di includere le sue opere sensuali, a volte violente, nella mostra internazionale dei surrealisti, affermandosi fin da subito.
Creature di gambe e capezzoli
Molinier dichiara più volte che il suo lavoro è fatto puramente per se stesso “nella pittura, sono stato in grado di soddisfare il mio feticismo delle gambe e dei capezzoli” e descrive l’erotismo come “un luogo privilegiato, un teatro in cui incitamento e proibizione recitano i loro ruoli e dove i momenti più profondi della vita fanno sport”.
Il costume costituisce il principio centrale delle sue opere sperimentali, indipendentemente dal fatto che fosse indossato dall’artista stesso, che amava vestirsi da donna in abiti fetish, maschere per bambole e accessori da donna per i suoi numerosi autoritratti, o dai suoi soggetti.
I suoi metodi di produzione erano spesso insoliti così come le immagini che ne derivavano: Molinier spesso si masturbava durante le sessioni fotografiche e utilizzava poi il suo sperma mescolandolo ai reagenti durante lo sviluppo dell’immagine.
Grazie ai suoi fotomontaggi, fatti tagliando e incollando parti del corpo e trame di varie fotografie diverse per creare un’immagine finale, Molinier ha scoperto che era in grado di evocare le creature dai molti arti dalla sua stessa psiche e sperava che, vedendole, gli spettatori del suo lavoro sarebbero stati similmente sorpresi dai loro istinti repressi e feticistici. 70 di questi montaggi furono inclusi in “The Chaman and its Creatures”, un libro d’artista incompiuto realizzato nel 1967, la cui prefazione recita: “in ogni momento, i miei atti e le mie azioni nella vita sono derivati dall’amore o dall’erotismo“.
Una vita estrema, un finale estremo
Sebbene le fotografie di Molinier non siano né così scioccanti né rivoluzionarie come sarebbero state per un pubblico conservatore nella Francia degli anni ’50, l’artista era assolutamente innovativo nel suo abbraccio volontario degli elementi più oscuri del suo stesso desiderio. Sfidava continuamente la moralità e la religione, forzando l’avanzamento del pensiero sulla libertà. Non sorprende quindi che la sua influenza continui a risuonare nell’arte contemporanea oggi tra artisti come Cindy Sherman, Robert Mapplethorpe (di cui abbiamo parlato qui) e Ron Athey che lo annoverano tra i loro predecessori.
All’età di 76 anni la salute di Molinier è in declino e decide di finire la sua vita così come l’ha vissuta: da grande amante delle armi decide di uccidersi con un’arma da fuoco.
26 anni prima aveva già preparato la sua lapide, che recita: “Qui giace Pierre Molinier, nato il 13 aprile 1900, deceduto intorno al 1950. Era un uomo senza morale, non gliene fregava la gloria e onore; inutile pregare per lui“.
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