FotoCose | la FotoCosa del giorno
Il 10 Aprile del 2019 viene pubblicata la prima immagine di un buco nero. Il soggetto è la singolarità M87, al centro dell’omonima galassia, visibile nella costellazione della Vergine e per questo nota anche come Virgo A.
Il buco nero supermassiccio M87 è stato fotografato nell’ambito del progetto Event Horizon Telescope (EHT), che si è servito di una rete di otto radiotelescopi (telescopi che non catturano la luce visibile ma le onde radio. Se volete capirci qualcosa in più ne abbiamo già parlato qui) distribuiti su tutto il pianeta, che ha lavorato come se fosse un unico grande radiotelescopio dotato di una elevatissima sensibilità.
I telescopi dell’EHT hanno raccolto circa 6.000 terabyte di dati che sono stati ricombinati nell’immagine finale con un processo di elaborazione durato un anno e mezzo, basato su un algoritmo creato ad hoc.
Cosa ne penserebbe suor Maria Gioconda?
Molti si domanderanno a cosa serve tutto questo, perché investire fiumi di denaro in ricerche di questo tipo? Cosa ci facciamo con la foto di un buco nero?
Posso rispondervi con la celebre lettera inviata dall’ex direttore scientifico della NASA Ernst Stuhlinger con la quale, negli anni ’70, replicava a suor Maria Gioconda, una missionaria dello Zambia, che gli chiedeva a cosa servisse investire tante risorse per andare sulla Luna quando qua sulla Terra c’erano bambini che morivano di fame.
Circa 400 anni fa, in una cittadina della Germania viveva un conte. Era uno di quei nobili buoni ed era solito dare buona parte dei propri guadagni ai suoi concittadini poveri: erano gesti molto apprezzati, perché c’era molta povertà e le ricorrenti epidemie causavano seri problemi. Un giorno, il conte incontrò uno sconosciuto. Aveva un banco di lavoro e un piccolo laboratorio nella sua abitazione, lavorava sodo di giorno per avere qualche ora ogni sera per lavorare nel suo laboratorio. Metteva insieme piccole lenti ottenute da pezzi di vetro; le montava all’interno di alcuni cilindri e le utilizzava per osservare oggetti molto piccoli.
Il conte fu affascinato da ciò che si poteva vedere attraverso quegli strumenti, cose che non aveva mai visto prima. Invitò l’uomo a trasferire il suo laboratorio nel castello, diventando un incaricato speciale per la realizzazione e il perfezionamento dei suoi strumenti ottici.La gente in città, tuttavia, si arrabbiò molto quando capì che il conte stava impegnando il proprio denaro in quel modo senza uno scopo preciso. «Soffriamo per la peste», dicevano, «mentre lui paga quell’uomo per i suoi passatempi inutili!». Ma il conte rimase fermo sulle sue posizioni. «Vi do tutto quello che posso», disse, «ma darò sostegno anche a quest’uomo e al suo lavoro, perché sento che un giorno ne verrà fuori qualcosa di buono!».
E in effetti qualcosa di buono avvenne, anche grazie al lavoro di altre persone in diversi luoghi: l’invenzione del microscopio. È noto che questa invenzione ha contributo più di molte altre idee al progresso della medicina, e che l’eliminazione della peste e di altre malattie contagiose in molte parti del mondo sia stata possibile in buona parte grazie agli studi resi possibili dal microscopio. Dedicando parte del proprio denaro alla ricerca e alla scoperta di nuove cose, il conte contribuì molto di più a dare sollievo dalla sofferenza umana rispetto a ciò che avrebbe potuto fare dando tutto i propri soldi ai malati di peste.
Estratto della lettera di Ernst Stuhlinger a suor Maria Gioconda. Qui la versione integrale.
Il nostro rapporto schizofrenico con la scienza
Negli ultimi anni stiamo vivendo il paradosso di una società che alla scienza deve tutto e che dalla scienza dipende, ma che spesso preferisce farsi guidare da ideali magici e teorie complottare, in molti casi propagandate e diffuse da persone con titolo di studio anche elevato e curriculum professionale insospettabile.
E’ buffo, abbiamo sempre in tasca i nostri smartphone, diretti discendenti dei computer utilizzati per raggiungere la Luna, ma li usiamo per guardare video che raccontano che lassù non ci siamo mai andati. Con quegli stessi dispositivi puoi collegarti ai setelliti che orbitano attorno al nostro pianeta rotondo e trovare il luogo del prossimo convegno terrapiattista.
Quand’è che qualcosa è andato storto? Come siamo arrivati a questo punto?
Abbiamo l’urgenza di ricostruire un rapporto sano con la scienza che, ricordiamolo, non è una religione che vive di dogmi e misteri inconoscibili, ma è un metodo costruito su regole condivise e limiti di applicabilità chiari, fondato sul dubbio e sulla ricerca sistematica del dato oggettivo. E sapete qual è la bella notizia? E’ potenzialmente alla portata di tutti.
Sì, perché la comunità scientifica è aperta e transnazionale. Un articolo scientifico contiene tutto ciò che serve per replicare l’esperimento e verificare la veridicità delle conclusioni raggiunte dall’autore. Se queste condizioni non sussistono, semplicemente non viene accettato dalla comunità globale e di conseguenza dalle riviste scientifiche (come Science o Nature, che mettono a disposizione le ricerche svolte a tutta la società, non solo alla comunità scientifica).
Immagini Indelebili e Scienza
Ricostruire un rapporto meno schizofrenico con la scienza passa sicuramente da una buona divulgazione, e in questo può avere un ruolo la fotografia, che sa emozionare, incuriosire e ispirare.
Anche la scienza ha bisogno di immagini iconiche e indelebili.
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