La FotoCosa del Giorno | Quando Avedon incontrò Nureyev

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Il Tataro Volante

Siberia, 17 marzo 1938. Un convoglio arranca sulla ferrovia transiberiana, destinazione Vladivostok.
Il confine con la Mongolia dista appena 200 chilometri e dai finestrini già si intravede il grande bacino del Lago Baikal, nei pressi della città di Irkutsk.
Le urla di una donna si confondono con lo sferragliare dei vagoni. I lamenti crescono, mentre una voce ripete ossessivamente la stessa breve parola in russo. Poi le urla cessano e la voce russa si zittisce.
Per pochi attimi il clangore del convoglio torna ad essere l’unico suono udibile, ma subito viene coperto dal pianto disperato di un neonato. Sullo sfondo un coro di parole compiaciute, mentre a contrasto col finestrino si staglia una figura scura che tende un braccio in alto, tenendo per i piedi un neonato: Rudolf Nureyev.

Cresciuto a Ufa in una famiglia tatara e povera, come molti dei suoi concittadini sovietici non morì di fame, ma ci andò vicino.
Ufa aveva un teatro dell’opera e, secondo la storia, a capodanno la madre di Rudolf acquistò un biglietto per il balletto. Posto unico, ma tutta la famiglia riuscì ad intrufolarsi nel teatro, incluso il piccolo Rudolf che allora aveva 7 anni.

In seguito Nureyev raccontò che quella notte, mentre guardava La Canzone delle Gru (una specie di Lago dei Cigni in versione Bashkir), ricevette la sua chiamata.
Nel giro di un anno Rudolf si iscrisse a un corso di danza classica e da quel momento in poi pensò a poco altro.
Rimase bloccato ad Ufa fino alla tarda adolescenza, quando finalmente riuscì a trasferirsi a Leningrado per frequentare l’Accademia di Danza Vaganova del Kirov.

Qui Nureyev poté studiare con il coreografo Alexander Ivanovich Pushkin (da non confondere col quasi omonimo scrittore Alexander Sergeyevich Pushkin), una specie di mostro sacro del balletto russo, che si prese a cuore il giovane e le sue numerose intemperanze.

In poco tempo entrò a far parte del corpo di ballo del Kirov, ma a causa della formazione tardiva il suo stile allora appariva goffo rispetto a quello dei colleghi: le spalle curve, gli atterraggi pesanti, le estremità del corpo troppo nervose.
Ma quello che gli mancava in termini di raffinatezza lo compensava con l’intensità. Tanto che Julie Kavanagh nel suo Nureyev: The Life, arriva a scrivere che il palco era la sua arena e lì Nureyev respirava fuoco.

Un ulteriore tratto che lo distingueva dai colleghi era la sua androginia. I ballerini russi del tempo erano compagni forti, cilindrici e solidi come l’Unione Sovietica. Il corpo di Nureyev era invece modellato su quello delle colleghe donne: tutto in lui era allungato, obliquo e leggero.

Nureyev verrà annoverato dalla critica tra i più grandi danzatori del ventesimo secolo, guadagnandosi il soprannome di flying tatar (il tataro volante), per la velocità dei movimenti e la propensione all’acrobazia.

Con la compagnia del Kirov poté lavorare con le più importanti ballerine sovietiche, ma soprattutto ebbe il raro privilegio di viaggiare fuori dalla madre Russia.

Proprio durante uno di questi viaggi, il 16 giugno del 1961 (esattamente 59 anni fa), Rudolf sfugge al controllo del KGB e si consegna alle autorità francesi all’aeroporto di Parigi per chiedere asilo politico.

Lasciai il mio paese per mancanza di ossigeno, per riscoprire il senso della prospettiva di cui ogni artista ha bisogno, se vuole continuare ad offrire la versione migliore di se stesso

Rudolf Nureyev

Avedon Fotografa Nureyev

L’esule Nureyev si aggrega alla Grand Ballet du Marquis de Cuevas, la sola compagnia disposta a scritturarlo senza timore di creare un incidente diplomatico con l’Unione Sovietica.
Grazie all’amicizia che lo legava al direttore della compagnia, Richard Avedon (di cui abbiamo parlato qui) riuscì ad ottenere l’esclusiva per fotografare Rudolf.

I due si trovarono subito in sintonia, tanto che Nureyev ricorda così il loro incontro:

Sentii di aver trovato il mio primo amico occidentale.

Rudolf Nuereyev su Richard Avedon

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Fotografo

Fotografo e videomaker, dal 2009 si divide tra fotografia di matrimonio e documentaria. Come documentarista ha pubblicato su National Geographic Italia, L'Espresso e riviste minori. Come matrimonialista ha avuto l’opportunità di lavorare in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Bermuda. http://www.francescorossifotografo.it/