FotoCose | la FotoCosa del giorno
Tempo fa ho avuto modo di passare qualche giorno insieme a Monika Bulaj durante un suo workshop. Oggi, 21 maggio, è il suo compleanno, e so che mi scuserete se ne approfitterò per iniziare l’articolo con i miei ricordi di quell’esperienza a dir poco illuminante.
Ricordo che dalla porta uscì una donna alta, che più che camminare sembrava danzare e che non interruppe il suo sorriso quando mi si avvicinò per presentarsi “Ciao sono Monika“.
Mi ricordo soprattutto una voce delicata, sempre pronta a fare una domanda o dare una risposta, in un fiume di parole che seguiva il suo corso, per poi deviare in un’altra direzione. Una danza di gesti, di mani che indicavano, inseguivano, creando e accompagnando visioni e suggestioni.
In quei giorni non smise mai di essere una persona, anche quando la fotografa emergeva nella sua imponenza, la sua innegabile potenza.
E poi diciamocelo, non capita mica tutti i giorni di sbucciare le patate con una fotoreporter del suo calibro!
Persone, oltre le foto
Per chi, per qualche motivo, ancora non la conoscesse, Monika Bulaj è nata a Varsavia, ma da anni risiede (nei rari momenti in cui non è a fare foto per il mondo) in Italia. Il suo interesse di fotoreporter e documentarista è dedicato soprattutto alle religioni, alle minoranze e ai popoli nomadi a rischio, con storie pubblicate su National Geographic, The New York Times Lens, The Guardian, Geo, Internazionale, solo per citarne alcune.
Di sé stessa dice “Il mio obiettivo è quello di mostrare le luci nascoste dietro il sipario del grande gioco, i piccoli mondi ignorati dai media e dai profeti di un conflitto globale“.
Dove gli dei si parlano
Tra i vari progetti di Monika Bulaj, vorrei presentarvi oggi “Dove gli dei si parlano“, un progetto in corso dal 2001 che esplora il mondo delle religioni, nelle loro accezioni più intime e personali.
Ora, visto che ho scritto anche troppo, penso la cosa migliore sia quella di lasciarvi alle sue parole, oltre a consigliarvi di dare un occhio al video a fine articolo: imperdibile.
Buona lettura.
“Le ultime oasi d’incontro tra fedi, zone franche assediate dai fanatismi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi. Luoghi dove gli dei parlano spesso la stessa lingua franca, e dove, dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze, sguardi. In una parola: l’uomo, la sua bellezza, la sua sacralità inviolabile, ostinatamente cercata anche nei luoghi più infelici del Pianeta, seguendo il sole, la luna, le stagioni, i culti e i pellegrinaggi, in una “mappa celeste” che ignora gli steccati eretti dai predicatori dello scontro globale. Un mondo parallelo e poco raccontato che va dall’Asia centrale all’America Latina, dalle Russie al Medio Oriente, e ti riconsegna la bellezza nella contaminazione: i riti dionisiaci dei musulmani del Magreb, il pianto dei morti nei Balcani, i pellegrinaggi nel fango degli Urali, l’evocazione degli dèi in esilio oltremare, sulla rotta degli “scafisti” di un tempo, a Haiti e Cuba, dove la forza spirituale della terra madre diventa rito vudù, santeria, rap mistico, samba, epitalamio e mistero. E ancora il cammino dei nomadi dell’Asia, che si portano dietro le loro divinità, come gabbiani dietro a una barca da pesca nel deserto.“
“Questo lavoro è cambiato negli anni. All’inizio documentavo le piccole e le grandi religioni nelle ombre delle guerre antiche e recenti.
Ad un certo punto sono state le mie immagini a cercarmi, a parlare da sole, raccontando delle preghiere e dei sogni, dell’acqua e del fuoco, della memoria, del teatro della festa dei morti, della via dei canti. Ora quello che faccio è una cosa semplice, quasi infantile: raccolgo schegge di un grande specchio rotto, miliardi di schegge, frammenti incoerenti, pezzi, atomi, forse mattoni della torre di Babele…
Forse solo questo può fare il fotografo: raccogliere tessere di un mosaico che non sarà mai completo, metterle nell’ordine che gli sembra giusto, o forse solo possibile, sognando, quell’immagine intera del mondo che magari da qualche parte c’è, o forse c’era e s’è perduta, come la lingua di Adamo.“
“Mi piace il pensiero che ci siano luoghi dove il sacro rompe i confini. Luoghi, momenti, atmosfere in cui i Popoli del Libro rivelano l’appartenenza a una stessa famiglia umana, con o senza Libro. Danze, sfioramento di corpi, carezze alle reliquie. Passaggio della soglia tra sacro e profano, tra luce e ombra. E ancora: infinita ripetizione, prostrazione, sgranare di rosari. Si tratta di luoghi, suoni, gesti, atmosfere, abbigliamenti, luci, percorsi che talvolta inaspettatamente e dolorosamente disvelano una verità comune sulle cose. “Atmosfere” diciamo.“
Chiudiamo questo articolo amarcord ringraziando (e consigliandovi di dare un occhio alle loro belle iniziative, spesso fotografiche) l’Associazione Baba Jaga, con la sua stupenda sede a ridosso dell’appennino a sud di Bologna, gestita con il cuore e la creatività di Chiara e Bruno.
EDIT: Proprio mentre sto finendo di ritoccare questo articolo leggo la notizia fresca di giornata: Geo Magazine n. 06/2020: “Fede che muove il mondo. La pietà può legare o stimolare, spesso si sfugge: Monika Bulaj ha fotografato persone ovunque sulla terra che si sono lasciate al loro Dio (o ai loro dei)”.
A questo punto che aggiungere? Auguri Monika!
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