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Nato il 26 Marzo del 1927 a Deal, una cittadina appesa con i denti all’estremo lembo sud-orientale del Regno Unito, il fotografo Harold Chapman è avaro di dettagli sulla sua giovinezza. Si sa solo che aveva una pesante forma di dislessia e che avrebbe voluto fare il pittore, ma un danno cerebrale subito dopo una caduta nella primissima infanzia gli impediva di maneggiare i pennelli.
Suo padre immaginava per lui una carriera nel commercio, ma già adolescente Harold aveva iniziato a dedicarsi alla fotografia e l’incontro con un vagabondo locale rafforzò la sua convinzione.
La sicurezza non ha senso.
Harold Chapman
Tutti erano contrari al fatto che volessi fare il fotografo, ma – mi sono detto – se quel vagabondo può essere felice senza sicurezza e stabilità economica, perché non potrei esserlo anche io?
Nel 1954 Chapman si trasferisce a Londra, dove si fa contagiare dalla passione dell’amico John Deakin per la fotografia di strada.
Le foto di Harold descrivono spesso bizzarre contrapposizioni che si verificano per caso, per qualche motivo lui è lì e scatta.
La fortuna ha dominato ogni aspetto della mia carriera. Incredibile. Non ci si può credere. Io ho solo provato a cercare il miglior punto di vista. Ecco perché mi sono trasferito a Parigi; volevo solo essere nel posto più visivamente interessante. Tutto sembrava accadere solo attorno a me.
Harold Chapman
A Parigi c’era una topaia gestita da Madame Rachou, una sedicente ex della resistenza francese, che faceva di tutto per riempire le sue 42 camere di gente strana: poeti, artisti, scrittori… Pure Chapman finì per diventare uno dei suoi ospiti.
Nella sua stanza si nascondeva sotto ad un mucchio di cappotti per caricare la pellicola nella tank, poi la sciacquava nel lavandino e la stendeva ad sciugare in bagno.
Era un metodo un po’ naif e mi ha fatto perdere molte foto fantastiche, ma la mia filosofia è sempre stata: salva ciò che è buono e dimentica quello che è perduto.
Harold Chapman
In quell’hotel al numero 9 di Rue Git-Le Coeur, William Seward Burroughs, fresco reduce delle sue avventure sessuali e narcotiche a Tangeri, termina la stesura del manoscritto del suo Pasto Nudo. Allen Ginsberg e Peter Orlovsky si erano trasferiti lì poco prima e con loro Brion Gysin e Gregory Corso. Sarà proprio quest’ultimo a soprannominare quel posto Beat Hotel.
E’ difficile capire quanto fosse centrale Harold Chapman nel gioco dell’infinito andirivieni degli ospiti del Beat Hotel.
All’ultimo piano c’era un fotografo che non ha parlato con nessuno per due anni.
Allen Ginsberg
Ma è un fatto che le foto di Chapman, raccolte in The Beat Hotel, facciano di quel periodo e dei suoi personaggi un racconto lucido e dettagliato.
Nel 1963 il Beat Hotel chiuse i battenti e Harold iniziò a lavorare per il New York Times dove dovette contrastare schiere di photo-editor arrabbiati che volevano sensazionalizzare il consumo di droga dei Beats.
Ho sempre avuto un problema con il modo in cui i giornali hanno scelto di raccontare la mia realtà.
Harold Chapman
Ne discussi con Cartier-Bresson che mi disse di essere sempre onesto con la mia soggettività.
Questo è ciò che ho sempre fatto.
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