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Il 13 Marzo 1610 Galileo Galilei pubblica il Sidereus Nuncius, un trattato di astronomia destinato a rivoluzionare interamente le conoscenze dell’epoca.
Dalla fine di Agosto dell’anno precedente l’astronomo toscano stava sperimentando un nuovo strumento: il cannone occhiale, uno strabiliante aggeggio ottico capace di ingrandire gli oggetti lontani. Con il suo ausilio l’occhio di Galileo discese i crinali delle montagne lunari tuffandosi sul fondo dei crateri, volò verso i quattro satelliti maggiori di Giove, scivolò sugli anelli di Saturno e infine si perse a contare le stelle della Via Lattea. Erano milioni.
Nei circa 400 anni che ci separano da Galileo abbiamo fatto un po’ di strada verso le stelle, ma siamo ben lontani dal raggiungerle. L’unico manufatto umano ad aver oltrepassato l’estremo confine del Sistema Solare è la sonda Voyager 1. Lanciata nel 1977, oggi si trova ad oltre 22 miliardi di chilometri dal Sole, è tutt’ora operativa e continua a comunicare con la Terra, dopo ben 43 anni di onorato servizio.
Le stime odierne ci dicono che le stelle della nostra galassia oscillano tra 200 e 400 miliardi, molte di più di quelle che aveva immaginato di contare Galileo, e sembra che la più antica abbia 13,6 miliardi di anni, più giovane dell’universo di appena 230 milioni di anni.
Questi numeri non sono umanamente comprensibili, e credo sia anche per questo che trovo molto affascinante tutto quello che sta al di là del nostro cielo.
Come me, pare che anche il fotografo e artista francese Vincent Fournier sia molto appassionato di cose spaziali, tanto da realizzare Space Project – Nostalgia for a Lost Star, un lavoro che lo ha impegnato per oltre 10 anni.
Il mio lavoro è liberamente ispirato alla suggestione onirica e misteriosa che le utopie scientifiche e tecnologiche risvegliano nell’immaginario collettivo.
Vincent Fournier su Space Project
Il progetto è iniziato a Maunakea, un vulcano inattivo alle Hawaii, dove Vincent ha fotografato i telescopi del più grande osservatorio astronomico del mondo. Da allora, ha viaggiato in Guyana Francese, Cile, Israele, Cina, Kazakistan, Giappone, India, Russia e Stati Uniti per fotografare centri spaziali, musei e osservatori che raccontano la storia del passato, del presente e del futuro dell’esplorazione spaziale.
Vincent contatta alcune tra le più protette e inaccessibili strutture al mondo.
Spesso occorrono anni per negoziare il tipo di accesso di cui ha bisogno, oltre la soglia in cui il pubblico normalmente potrebbe mettere piede. A volte gli concedono un giorno, altre soli dieci minuti per ottenere la foto che cerca.
Vincent definisce Space Project la sua personale madelein de Proust, un’espressione francesce che indica un odore, un oggetto o altro, che riporta improvvisamente alla mente il ricordo di un tempo passato (il modo di dire, madelein de Proust, deriva da un passaggio nel romanzo Alla Ricerca del Tempo Perduto di Marcel Proust in cui il gusto di una madeleine immersa nel tè innesca un flusso involontario di ricordi d’infanzia nella mente del narratore).
Space Project lo fa tornare ai suoi otto anni, quando era ossessionato dalla scienza e dallo spazio. Gli fa immaginare il futuro con gli occhi di un bambino.
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