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Siamo abituati a vedere migliaia di foto di bambini sulla spiaggia, ma in questa c’è qualcosa che proprio non va, qualcosa che fa rabbrividire. Un bambino con una maglietta rossa è riverso a faccia in giù sul bagnasciuga, con gli occhi aperti.
Molti di noi ricorderanno quella maglietta rossa, quella sagoma che è diventata il simbolo di una tragedia ancora più grande.
Questa foto ritrae Alan Kurdi e noi ne parleremo oggi, 29 settembre, nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato.
In fuga dalla guerra
Pochi giorni fa si è ricominciato a sentire il nome Alan Kurdi per la vicenda dell’imbarcazione omonima, dedicata al bambino dalla Ong tedesca Sea Eye.
Alle prime ore del 2 settembre 2015, la famiglia di origine curda di Alan (riportato inizialmente dai giornalisti anche come Aylan), si imbarcò su un gommone sovraffollato da altri profughi che tentavano di raggiungere l’isola greca di Kos partendo dalla città turca di Bodrum.
La guerra durava da più di quattro anni in Siria, patria della famiglia, quando salirono su quel gommone che a pochi minuti dalla partenza si rovesciò con il suo carico di profughi. La madre ed entrambi i figli, Alan di 3 anni e suo fratello di 5, annegarono.
Di primo mattino un barista che lavorava lì vicino e un suo amico scoprirono sulla spiaggia il corpo di Alan e quello di un’altra bambina. Il primo poliziotto intervenuto per recuperare i corpi, Mehmet Çıplak, descrisse il ritrovamento come qualcosa che lo aveva “distrutto nel profondo” e di aver “sperato che il bambino fosse vivo“.
Nilufer Demir, dell’agenzia di stampa Dogan, fu la prima fotogiornalista ad arrivare sul posto e scattò alcune foto destinate ad avere una risonanza mediatica enorme, una delle quali è stata inserita dalla rivista TIME tra le 100 foto più influenti del secolo, una foto che ha anche ispirato numerose opere d’arte.
La Demir dichiarò: “Non c’era più niente da fare per lui. Non c’era più niente per riportarlo in vita. Ho pensato, questo è l’unico modo in cui posso esprimere l’urlo del suo corpo silenzioso.”
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