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Mondi che non esistono
Oggi parleremo di una tecnica capace di modificare la realtà, o addirittura di creare nuovi mondi: il fotomontaggio (tra l’altro proprio ieri erano i 30 anni di Photoshop!) .
Pur non essendo personalmente un appassionato del genere, che vedo più vicino alla pittura che alla fotografia, devo dire che alcune di queste creazioni sono decisamente spettacolari, non a caso vengono soprattutto utilizzate nel mondo pubblicitario.
La foto detta comunemente “Photoshoppata“, cioè nella quale sono stati aggiunti o tolti elementi rendendola di fatto una foto che NON rappresenta la realtà, ovviamente non può andare a braccetto con la fotografia documentaria.
Purtroppo questo non è sempre così ovvio, basti pensare ai numerosi episodi di squalifica che negli ultimi anni hanno toccato anche famosi finalisti del World Press Photo e di altri importanti premi del fotogiornalismo.
21 febbraio 1901 | Henry Peach Robinson
Un pioniere della tecnica del fotomontaggio è stato il fotografo britannico Henry Peach Robinson che moriva più di un secolo fa, il 21 febbraio 1901, a causa di problemi di salute causati dai materiali chimici utilizzati nel processo fotografico .
A quanto pare la fotografia era per lui una vera ragione di vita, e la sua dedizione non fatica a trasparire anche dalle parole relative al suo matrimonio: prima la fotografia, poi la moglie.
Tanta dedizione lo portò inizialmente a sperimentare sui ritratti, dove applicava colori o correggeva imperfezioni direttamente sul positivo. Poi, insoddisfatto delle pellicole dell’epoca, iniziò a utilizzare la tecnica della doppia esposizione per esporre correttamente i paesaggi, creando in pratica un HDR ante litteram.
Tuttavia la sua fama è dovuta soprattutto ai suoi fotomontaggi, che creava utilizzando più negativi per comporre un’unica fotografia. Tra le foto più famose di questo tipo troviamo Fading Away, ottenuta da cinque differenti negativi e When the Day’s Work is Done, dove arriva ad utilizzarne addirittura sei.
Dal fotomontaggio analogico a quello digitale: Erik Johansson
L’utilizzo della fotografia digitale ha facilitato enormemente i lavori di fotomontaggio, ed Erik Johansson, giovane fotografo svedese residente a Praga, è uno di quelli che ne ha fatto il suo cavallo di battaglia.
Le sue opere sono spesso concettuali, ricordano i quadri di Magritte e le prospettive di Escher. Erik afferma che nel suo processo l’idea, la fotografia e la post produzione sono tutte connesse e hanno la stessa importanza.
Non ci sono foto generate al computer, disegnate o di stock nel suo lavoro personale: tutte le opere sono ottenute solo combinando le sue stesse fotografie. È un processo lungo e, escludendo le opere commissionate, crea solo circa 8 nuove immagini all’anno.
Erik ricerca sempre un alto livello di realismo nel suo lavoro, in modo che lo spettatore si senta parte della scena. Questo lo porta a scattare foto in studi spesso enormi per avere il massimo controllo sulla luce e la prospettiva, cruciali per combinare le immagini in modo realistico.
“Anche se i mondi che creo sono spesso impossibili, voglio dare l’impressione che possano esistere. Il senso di realtà è un elemento fondamentale nelle mie immagini“
Se siete curiosi di vedere come Erik realizzi queste magie, vi riporto qui sotto l’interessantissima playlist “Behind the scenes“, in cui mostra il processo di creazione di alcune sue opere, dal bozzetto iniziale, allo scatto, al fotoritocco finale.
Se vi ritrovate a passare da Stoccolma fino al primo marzo 20202 ci sarà una mostra delle sue opere al museo Fotografiska dal titolo ” Places Beyond“.
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