In queste prime settimane di Febbraio quasi ogni giorno ricorre l’anniversario dell’apertura di questa o quell’edizione dei Giochi Olimpici Invernali, e infatti solo venerdì scorso abbiamo parlato dei giochi invernali di Sochi 2014. Secondo il mio piano originario la FotoCosa di venerdì avrebbe dovuto prendere spunto da un paio di vecchi articoli (questo e questo) che raccoglievano le interviste ai fotografi e ai dirigenti delle principali agenzie fotografiche impegnate a coprire i giochi invernali del 2014 in Russia. Poi ho visto il bel librone di Hornstra e Van Bruggen sulla mensola del soggiorno e non ho potuto fare a meno di raccontarvi The Sochi Project.
Questo lungo preambolo per dirvi che oggi parleremo di come sono stati fotografati i Giochi di Sochi 2014, sfruttanto il gancio – flebile a dire il vero – fornitoci dal quattordicesimo anniversario dell’apertura di un’altra olimpiade invernale, quella di Torino 2006.
Le Olimpiadi Invernali di Torino | 10 Febbraio 2006
Il 10 Febbraio del 2006 si tiene la cerimonia di apertura della XX edizione dei Giochi Olimpici Invernali, alla quale presero parte ben 80 comitati olimpici nazionali, facendo di Torino 2006 l’Olimpiade Invernale più partecipata fino a quel momento (il record è poi stato sistematicamente battuto nelle edizioni successive).
Fotografando Sochi 2014
Cominciamo con un po’ di numeri. Le foto scattate a Sochi impiegavano in media dai 90 ai 180 secondi per viaggare dai pendii innevati del Caucaso fino alle home page dei giornali di tutto il mondo.
I fotografi di Reuters e di Getty nel 2014 potevano realizzare fino ad un milione di fotodurante la singola olimpiade. Per cercare di comprendere l’effettiva mole delle immagini riprese, provate a dividere 1.000.000 per 36 – il numero di fotogrammi contenuti in un vecchio rullino – il risultato è che ogni fotografo sarebbe stato capace di riempire 27.777 rulli, più spiccioli. Il numero, di per sè astronomico, non è poi così incredibile se si pensa che le reflex usate a Sochi potevano sparare raffiche di 14 fotogrammi al secondo (con le macchine attuali si arriva anche a 25 fps). Se si usasse ancora la pellicola riempirebbero un rullino in poco meno di 3 secondi.
Per gestire questa mole di foto in così poco tempo a Sochi sono stati posati 22 chilometri di cavi per collegare i campi di gara a postazioni dove ciascun fotografo disponeva di 3 editor che in appena 30/40 secondi si occupavano di selezionare, post-produrre (ritaglio e color correction) ed assegnare i metadati (tag e didascalie) alle singole immagini.
La realizzazione dell’infrastruttura necessaria alle agenzie fotografiche era cominciata già due anni prima dell’evento, quando AP e Getty hanno posato cavi e realizzato i primi sopralluoghi per individuare i migliori punti di ripresa.
Fotografare lo Sport: Solo una Questione di Tecnica?
Getty, AP e le altre agenzie, condividono la stessa infrastruttura, gli stessi strumenti e le medesime postazioni di ripresa. Così, in molti casi, le foto realizzate sono quasi indistinguibili l’una dall’altra: stessi soggetti, stessi momenti ed inquadrature molto simili.
Questo accade perché i clienti vogliono tutti la stessa cosa: una foto utilizzabile dell’eroe nazionale di turno. Ciò fa sì che la gran parte degli scatti siano foto tecniche, che lasciano poco spazio all’interpretazione personale del fotografo.
Senza scomodare il caso estremo delle olimpiadi, questo è ciò che accade per la gran parte dei grandi eventi.
Ma basta scorrere gli archivi dei più importanti premi fotografici per capire che la fotografia sportiva, seppur strettamente vincolata alla tecnica, può offrire delle suggestioni molto intriganti, sia in termini visivi che per quanto riguarda le storie personali degli atleti. Da una parte c’è spazio per l’esaltazione estetica di un gesto estremo, disperato o perfetto, dall’altra, le storie di sport sono spesso il miglior esempio di quella che è la forma archetipica di ogni storia degna di tal nome: il paradigma del cammino dell’eroe.
Conquering Speed | Sergei Ilnitsky
Ground Pass Holders | Kieran Doherty
A lingerie league of their own | Alyssa Schukar
Le giocatrici della Legends Football League vogliono che il football americano femminile si affermi anche oltre i confini degli Stati Uniti. La lega era precedentemente nota come Lingerie Football League, ma le giocatrici si stanno impegnando affinché il destino del loro campionato non resti legato al solo sex appeal, perciò non competeranno più indossando lingerie e si allenano duramente affinché il loro venga riconosciuto come uno sport a tutti gli effetti.
Kirkpinar Oil Wrestling Festival | Elif Ozturk
Kirkpinar è un torneo turco di lotta che risale ad oltre 660 anni fa. Si tiene ogni anno per tre giorni, di solito a luglio, vicino a Edirne, una città nel nord-ovest del paese. I lottatori (pehlivan) che indossano calzoni di pelle (kispet) competono sull’erba, dopo essere stati ricoperti d’olio. Combattono per il titolo di Capo Pehlivan e una cintura d’oro dal peso 1.450 grammi. Gli incontri a volte possono durare diverse ore e e terminano quando un lottatore mette l’altro a terra o lo solleva sopra la sua testa.
Peace Football Club | Juan D Arredondo
I guerriglieri delle forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), dopo aver deposto armi dopo oltre 50 anni di conflitto, si sono trasferiti dai campi della giungla alle “zone di transizione” in tutto il paese, per smobilitare e iniziare il ritorno alla vita civile. Molti partecipano a partite di calcio con squadre composte da membri delle forze armate colombiane e vittime del conflitto. Il piano prevede che i migliori giocatori delle squadre della zona di transizione formino la squadra di calcio del La Paz FC (Peace FC).
Fotografo e videomaker, dal 2009 si divide tra fotografia di matrimonio e documentaria.
Come documentarista ha pubblicato su National Geographic Italia, L'Espresso e riviste minori. Come matrimonialista ha avuto l’opportunità di lavorare in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera e Bermuda.
http://www.francescorossifotografo.it/
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