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Accostare cioccolato e lavoro minorile è praticamente un ossimoro, ma a quanto pare questi due strani compagni continuano a coesistere. Nel 2001 alcune delle più grandi aziende produttrici di cioccolato (Mars, Nestlé e Hershey) si sono impegnate a smettere di usare il cacao raccolto dai bambini. Ma, nonostante siano stati fatti “passi da gigante“, a quasi 20 anni di distanza la situazione è ancora lontana dall’essere risolta.
Ne parliamo oggi, alla vigilia della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, celebrata ogni 12 giugno, riprendendo un celebre articolo del dicembre scorso pubblicato dal Washington Post, scritto da Peter Whoriskey e Rachel Siegel con le foto di Salwan Georges riportate anche in questo articolo.
Africa occidentale, oggi.
Ci troviamo in una delle centinaia di migliaia di piccole fattorie situate nelle foreste dell’Africa Occidentale, la fonte più importante di cacao al mondo, in grado di fornire due terzi della fornitura mondiale.
Cinque ragazzi agitano i machete, sorvegliati da un contadino, le loro espressioni sono impassibili, quasi vuote e raramente parlano, inizialmente non parlano volentieri con il giornalista che chiede loro l’età: il primo risponde “diciannove”. Ma quando il sorvegliante si distrae il ragazzo dà una risposta diversa: 15, e lavora nelle fattorie di cacao in Costa d’Avorio da quando aveva 10 anni. Anche gli altri quattro ragazzi dicono di avere 15 anni, 13, un paio 14.
Secondo un rapporto del Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti del 2015, oltre due milioni di bambini sono impegnati in lavori pericolosi nelle regioni che coltivano cacao.
Le grandi aziende non sono ancora in grado di identificare le fattorie da cui proviene tutto il loro cacao e quindi garantire che alla base non vi sia lavoro minorile. Mars, ad esempio, può risalire solamente alla provenienze del 24% del suo cacao.
Per avere successo, le aziende dovrebbero superare le potenti forze economiche che attirano i bambini a lavorare in uno dei posti più poveri del mondo.
Visto il fallimento nel rispettare le scadenze proposte per eradicare il lavoro minorile, anche l’industria del cioccolato ha ridimensionato le sue ambizioni. Mentre la promessa originale prevedeva l’eradicazione del lavoro minorile nei campi di cacao dell’Africa occidentale entro il 2005, l’obiettivo per il prossimo anno è di ridurlo del 70%.
Ovviamente anche i governi e le organizzazioni sindacali dell’Africa occidentale hanno una certa responsabilità per l’eradicazione del lavoro minorile.
Timothy McCoy, vicepresidente della World Cocoa Foundation, ha comunque affermato che le società “hanno fatto passi da gigante“, tra cui la costruzione di scuole, il sostegno a cooperative agricole e la consulenza agli agricoltori su metodi di produzione migliori.
Anche altre società che non erano firmatarie, come Mondelez e Godiva, hanno preso tali provvedimenti, ma così come le altre possono garantire che nessuno dei loro prodotti fosse privo di lavoro minorile.
L’industria, che vende circa 103 miliardi di dollari di prodotto all’anno, ha speso oltre 150 milioni di dollari in 18 anni per affrontare il problema.
Il loro sforzo più importante (l’acquisto di cacao “eticamente certificato” da gruppi di terze parti come Fairtrade e Rainforest Alliance), è stato indebolito dalla mancanza di un rigoroso rispetto delle norme sul lavoro minorile. Per fare un esempio, gli ispettori di terze parti sono solitamente tenuti a visitare meno del 10% delle aziende di cacao.
Sulla questione Antonie Fountain, amministratore delegato di Voice Network, un gruppo che cerca porre fine al lavoro minorile nell’industria del cacao dice “Non abbiamo sradicato il lavoro minorile perché nessuno è stato costretto a farlo. Qual è stata la conseguenza per non aver raggiunto gli obiettivi? Quante multe hanno dovuto affrontare? Quante pene detentive? Nessuna. Ci sono state conseguenze zero“.
Due milioni di bambini continuano a usare il machete, trasportare carichi pesanti, spruzzare pesticidi, azioni che le autorità internazionali considerano “tra le peggiori forme di lavoro minorile”.
Un’inchiesta difficile per una soluzione difficile
I giornalisti del Washington Post, nel marzo 2019, hanno parlato con 12 bambini che hanno dichiarato di essere venuti, non accompagnati da genitori, dal Burkina Faso per lavorare nelle fattorie di cacao.
Pur essendo l’età dichiarata coerente col loro aspetto, il Post non ha potuto verificare le date di nascita: in Burkina Faso il 40 % delle nascite non è registrato ufficialmente e quindi molti bambini non hanno documenti di identità.
Le fattorie erano facilmente visitabili perché in genere mancavano delle recinzioni, ma le persone erano spesso riluttanti a parlare del lavoro minorile, che è notoriamente illegale e ufficialmente scoraggiato.
Ce ne sono “molti in arrivo”, ha detto l’agricoltore/sorvegliante ai giornalisti, dicendo che stava pagando il “gran patron” (quello che gestisce i ragazzi) circa 9 dollari per bambino per una settimana di lavoro e che, a sua volta, avrebbe pagato a ciascuno dei ragazzi circa la metà di quello.
“Ammetto che è una specie di schiavitù“, ha aggiunto l’agricoltore, ma li ha assunti perché aveva bisogno del loro aiuto: “Il basso prezzo del cacao rende la vita difficile a tutti. Sono ancora bambini e hanno il diritto di essere educati, ma li portano qui al lavoro ed è il capo che prende i soldi“.
Secondo la ricerca di Fairtrade in una tipica fattoria di cacao ivoriana il reddito familiare annuo dell’agricoltore si attesta a circa $ 1.900, circa il 60 percento della popolazione rurale del paese non ha accesso all’elettricità e, secondo l’UNESCO, il tasso di analfabetizzazione è intorno al 54 %.
Con stipendi così bassi, i genitori ivoriani spesso non possono permettersi i costi per mandare i loro figli a scuola, usandoli invece nella fattoria.
All’arrivo nelle zone di coltivazione del cacao della Costa d’Avorio, i bambini migranti vengono utilizzati per soddisfare la domanda nelle fattorie di cacao di un intenso lavoro manuale e rimanere tutto l’anno.
Ovviamente questo non è altro che un aspetto di un fenomeno più ampio, che va bene oltre il cacao e la Costa d’Avorio: quello di persone in cerca di opportunità per sopravvivere.
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