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Richard Avedon, oltre il ritratto
Domani 15 maggio sarà l’anniversario della nascita di uno di più grandi fotografi riconosciuti a livello mondiale: Richard Avedon.
Pur essendosi cimentato in vari campi della fotografia, dal reportage alla moda, sicuramente è associato alla foto ritrattistica, di soggetti noti (Marilyn Monroe, Janis Joplin, Brigitte Bardot, Andy Warhol, Sophia Loren.) o meno.
Tra tutti i suoi lavori, oggi andiamo a scoprire proprio alcuni di questi volti che, da sconosciuti, sono diventati famosi in tutto il mondo grazie alle sue foto, in quello che è considerato forse il suo progetto più iconico: In the American West.
L’inizio del progetto
Nel 1978 Richard Avedon, stava soffrendo di una pericardite che lo costrinse a prendersi un po’ di riposo, cosa che gli fece trascorrere del tempo in un ranch nello stato del Montana. Qui fece un ritratto del suo vicino Wilbur Powell (la foto qua sotto), foto che nello stesso anno fu presentata al Metropolitan Museum of Art di New York in una retrospettiva del fotografo.
La foto fu notata da Mitchell A. Wilder, direttore dell’Amon Carter Museum di Fort Worth, Texas, che il 4 luglio 1978 chiamò Avedon proponendogli una serie di foto che costituissero “il grande ritratto del West americano“, offrendosi di pagare al fotografo 100.000 $ all’anno.
Avedon, che tra l’altro si è professato affascinato dalla “mitologia di Gary Cooper, Willa Cather e Marlboro Man“, non si lasciò sfuggire l’occasione e accettò l’incarico.
Il mitico West
L’avventura di Avedon si protrasse per 5 anni consecutivi (e per un totale di mezzo milione di dollari) tra il 1979 e il 1984, in un viaggio simile a quello di altri “inseguitori della mitologia americana” come Ansel Adams (di cui abbiamo parlato anche qui), Georgia O’Keeffe o Edward Curtis.
L’impresa portò Avedon e il suo team di assistenti a viaggiare in 17 stati dell’Unione americana, in 189 città, catturando i volti di 752 soggetti.
I soggetti
Una delle grandi qualità di Avedon era la sua grande capacità di rilassare i suoi modelli, ma anche di provocarli fino al punto di vulnerabilità, dando vita a ritratti intimi.
I modelli non sorridono, guardano l’obiettivo con sospetto, talvolta ostilità. Samantha Krukowski osserva che in questa serie “tutti i soggetti di Avedon rispondono alla telecamera in un certo modo: guardano direttamente nell’obiettivo, ma sono inespressivi. A un esame più attento, questi volti contengono molte emozioni sottili. Per Avedon, è il volto che mostra il maggior numero di informazioni“.
Il suo sguardo si concentra specialmente su persone comuni, semplici, spesso indurite dalle difficoltà.
Inoltre gran parte dei soggetti di Avedon presentano una qualche forma di anomalia o mutilazione. Ad esempio, Juan Patricio Lobato (sopra a sinistra) è malato di scoliosi e soffre di un’anomala curvatura della colonna vertebrale. Dave Timothey (sopra a destra) è vittima dei test nucleari a Orem e il suo collo ha un ictus permanente a causa dell’esposizione radioattiva.
Il processo e la tecnica
Avedon decise di utilizzare uno sfondo bianco per tutte le immagini. I suoi assistenti montavano un telo che isolava ogni soggetto, ottenendo una sequenza che non offriva nessuna possibilità di contestualizzazione, foto fuori del tempo e dello spazio.
In questo modo i soggetti, sempre identificati da nome e cognome, venivano enfatizzati dal loro sguardo, il loro viso e il loro corpo, e rappresentati in quanto individui unici.
La fotocamera utilizzata era una pieghevole in legno di grande formato (una 8 × 10 Deardorff) con due ottiche (Schneider Symmar-S da 360 mm f / 6,8 e Fujinon-W 360mm, f / 6.3). La maggior parte delle foto utilizzava l’illuminazione naturale, solo raramente si avvalse dell’uso di lampade (Elinchrom da 2.000 watt).
Alla fine del suo lavoro aveva utilizzato circa 17.000 fogli di pellicola.
Per quanto riguarda il post-processing, Avedon aveva una una visione molto chiara e dette istruzioni molto specifiche ai suoi collaboratori del tipo “Voglio questa persona più gentile“, “questa faccia richiede più tensione” in modo che il team di stampa riuscisse a interpretare fedelmente ciò che Avedon stava cercando.
Il risultato
Delle 752 fotografie fatte, Avedon fece una selezione insieme al curatore John Rohrbach, tirando fuori una serie finale di 124 immagini. Nel 1985 il Museo Amon Carter presentò quindi la mostra, con un allestimento in cui le pareti del museo erano ricoperte di monumentali stampe dei soggetti fotografati.
La maggior parte degli ingrandimenti, stampati su carta Agfa Portriga-Rapid da Ruedi Hoffman, erano 40,6 x 50,8 cm, ma alcuni arrivavano a 1,4 x 3,4 metri.
Il risultato di quelle immense foto che trasformavano minatori, cameriere e operai in giganti? Travolgente.
Avedon non lo ha mai nascosto: “Questo è un West immaginario. Non penso che nessuno di questi ritratti sia molto più veritiero del West di John Wayne“. Per lui questa serie riflette una visione soggettiva, che contrasta con l’apparente obiettività dell’immagine giornalistica o editoriale.
Chiudiamo questa lunga disamina con una delle frasi più celebri di Richard Avedon, che spiega con chiarezza il suo punto di vista:
“Un ritratto non è una somiglianza. Il momento in cui un’emozione o un fatto viene trasformato in una fotografia non è più un fatto ma un’opinione. In una fotografia non esistono cose come l’imprecisione. Tutte le fotografie sono esatte. Nessuna di esse è la verità.”
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