FotoCose | la FotoCosa del giorno
Il 19 maggio del 1652 il Rhode Island approva la prima legge che rende illegale la schiavitù in uno stato nordamericano.
368 anni dopo il tema è ancora di estrema attualità in Italia, perché a causa delle restrizioni adottate per far fronte all’epidemia di Covid-19, ci ritroviamo impelagati in un dibattito surreale sulla regolarizzazione (temporanea) dei braccianti immigrati clandestinamente in Italia, che proprio a causa della condizione di clandestinità, e alla conseguente impossibilità di trovare un lavoro regolare e regolamentato, sono costretti a subire il ricatto del caporalato, accettando una situazione di semi-schiavitù.
[…] Una cospicua parte di questo bacino di manodopera risulta ingaggiata irregolarmente, attraverso il cosiddetto “sistema del caporalato”, espressione con la quale si fa riferimento all’intermediazione, il reclutamento e l’organizzazione illegale della manodopera nonché allo sfruttamento lavorativo (prevalentemente) in agricoltura.I cosiddetti caporali, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali, fungono da intermediari con i datori di lavoro, arruolando la mano d’opera e trattenendo per sé una parte del compenso (una sorta di tangente). Tratto cruciale del fenomeno è il monopolio del sistema di trasporto, che costringe i braccianti a dover pagare anche lo spostamento verso i luoghi di lavoro.
www.integrazionemigranti.gov.it
Attenzione, non è l’epidemia a creare questa condizione. Al contrario, questa è la norma in alcune zone d’Italia. L’emergenza la rende semplicemente palese.
Riot-Selfie: guarda mamma, questo sono io mentre combatto per le cose in cui credo
Ma cosa c’entra con questo la fotografia?
La fotografia c’entra eccome (come abbiamo ricordato qui), perché è uno strumento poderoso per creare simboli e testimonianze, al punto che anche gli attivisti di tutto il mondo la usano ormai diffusamente come strumento di lotta, in molti casi fotografandosi durante le manifestazioni. Le Primavere Arabe (di cui abbiamo parlato qui) e le recentissime proteste a Hong Kong, (che trovate qui), sono alcuni degli esempi più celebri in cui fotografia e social network sono stati usati per combattere battaglie dagli attivisti di tutto il mondo.
Se la presenza dei social media nell’equazione fa sembrare l’uso di quelli che potremmo definire riot-selfie, un’innovazione. Dovete sapere però che la pratica è vecchia di quasi due secoli.
Costruire un movimento significa rendersi visibili e tra i primi a comprenderlo sono stati coloro che negli USA lottavano per l’abolizione della schiavitù. Si parla della metà del 1800, e l’avvento della fotografia (sbarcata in Nord America nel 1839) fornì loro lo strumento per farlo.
Fotografia e Abolizionismo
Sebbene le fotocamere di allora non fossero proprio il massimo per rubare immagini durante le aste degli schiavi, offrivano comunque agli abolizionisti un mezzo incredibile per raccontare la loro battaglia contro schiavitù e razzismo.
Tra il 1840 ed il 1850, gli attivisti si adoperarono per creare e diffondere ritratti dei membri del movimento, degli schiavi che fuggivano lungo la Undreground Railroad (una rete di percorsi segreti e case sicure che attraversava gli Stati Uniti fino al Canada, per permettere la fuga degli schiavi) e dei ribelli – bianchi e neri – che li aiutavano.
Frederick Douglass: Fotografare per Resistere
Frederick Douglass nasce agli inizi dell’ottocento. Afroamericano è schiavo in Maryland, riesce a fuggire diventando uno dei leader del movimento abolizionista.
A quel tempo i proprietari di schiavi legittimavano moralmente la pratica sostenendo che gli afroamericani non avessero le capacità intellettuali nescessarie per essere cittadini indipendenti.
Ebbene, Frederick non solo era un tipo intelligente, ma sapeva anche parlare molto bene. Questo lo rendeva l’obiezione vivente e definitiva a quell’argomentazione.
Fu un autore prolifico, e la sua autobiografia, Narrative of the Life of Frederick Douglass, nel 1845 fu un best seller ed un vangelo per gli abolizionisti.
Convinto sostenitore dell’uguaglianza di tutti i popoli e dei valori liberali della costituzione americana, ricoprì molte cariche pubbliche e fu addirittura il primo candidato afroamericano alla vice presidenza degli Stati Uniti.
Frederick fu anche l’americano più fotografato del diciannovesimo secolo: pare che di lui esistano circa 160 fotografie, un’enormità per il tempo.
Si ritraeva sempre in modo dignitoso, con giacca, cravatta e panciotto, senza mostrare mai le profonde cicatrici che aveva sulla schiena, perché con i suoi selfie non voleva ostentare la brutalità della schiavitù, ma la sua dignità di essere umano, identica (se non superiore) a quella dei proprietari di schiavi: un atto assolutamente sovversivo.
Gli autoritratti di Frederick entrarono nelle case degli abolizionisti, diventando un collante ed una fonte di ispirazione per il movimento, tanto che si diffuse la pratica di usare la fotografia per raccontare le imprese degli schiavi che fuggivano lungo la Underground Railroad: dare un volto ai protagonisti dei resoconti scritti caricava le loro storie con un dirompete potere emotivo.
L’uomo è un animale che produce fotografie e può comprenderle. Questa è un’importante linea di discontinuità tra l’uomo e la bestia.
Frederick Douglass
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