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Gennaio 1965 | Terzani arriva in Asia
55 anni fa, nel gennaio 1965, Tiziano Terzani arrivò in Giappone, approdando per la prima volta in Asia.
Asia, un continente che lo aveva sempre affascinato, e per questo vi andò, “in cerca dell’altro, di tutto quello che non conoscevo, all’inseguimento d’idee, di uomini, di storie di cui avevo solo letto“.
Parlando di Terzani non c’è bisogno di presentazioni, ma è bene ricordare che, oltre ad essere un giornalista e un grande viaggiatore, era anche un fotografo e spesso usava le sue foto per i propri reportage.
Proprio all’inizio del libro leggiamo le sue parole cariche della sua fantastica ironia: “L’invidia per i fotografi m’era cominciata in Vietnam quando si tornava dal fronte e quelli, avendo già fatto il loro lavoro, andavano dritti al bar, mentre a me toccava ancora mettermi con angoscia davanti al foglio bianco, allora infilato in una Olivetti Lettera 22, a cercare di descrivere con mille parole il bombardamento, la battaglia o il massacro del giorno che loro – i fotografi bravi almeno – avevano già raccontato in una sola immagine. Quella di cogliere il nocciolo di una storia con un clic è un’arte che mi ha sempre attirato. Per questo forse, da allora, sono sempre andato in giro con una vecchia Leica al collo quasi a rassicurarmi che, se mi fossero mancate le parole, una traccia di ricordo mi sarebbe rimasta nella pellicola“.
La sua idea era proprio quella di riorganizzare quelle foto in un libro che ripercorresse il suo percorso, a zig-zag tra i grandi avvenimenti a cui aveva assistito.
Foto che raccontano storie
Purtroppo quest’idea ha visto la luce solo dopo la sua scomparsa, nel libro “Un mondo che non esiste più“, dove rivediamo, attraverso i suoi scatti, le storie dei suoi libri.
Grazie alle sue foto vediamo un mondo diverso, mentre diamo un volto alle persone, seguendo i cambiamenti nel Vietnam di “Pelle di leopardo”, la caduta dell’Unione Sovietica di “Buonanotte, signor Lenin”, scopriamo la Cina degli anni ’80 de “La porta proibita”, e ci avventuriamo nel suo lungo viaggio via terra di “Un indovino mi disse”.
La sua era una visione che è l’essenza stessa del reportage, come leggiamo nelle sue parole: “Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea“.
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